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La cornice narrativa espone la storia di un vagabondaggio. Anna è un'adolescente inquieta come tanti adolescenti; all'avvicinarsi della Pasqua avverte un moto di rivoluzione/resurrezione; deciderà così di mettersi in cammino senza una meta ben precisa, senza una fissa dimora; avrà l'occasione d'incontrare spiriti affini, "viaggiatori" che la ospiteranno  per  periodi  più  o meno  lunghi  nelle proprie dimore. Anna  riprende   sempre  il proprio  viaggio  in  segreto, ma prima   di   dissolversi   lascerà nel ripostiglio dei  padroni di casa, dentro oggetti/simbolo,  una traccia;   un monito   che   li esorti   a  vivere   le   proprie esistenze  esorcizzando  i  timori che  in  loro ha percepito. 

I  seguenti componimenti sono estratti dal ripostiglio.

 

LETTERE DAL RIPOSTIGLIO

Cara innocenza,

sfuggi tra le mani come un palloncino

che abbandona la presa di un bambino;

un fiore di vetro cade dal balcone,

si frantuma, urgente rumore.

 Ti ho cercata dentro un letto, 

ti ho fatta a pezzi,

per fondermi nella tua essenza,

rinunciando al mio desiderio perfetto

disponibile d’incoscienza;

ho ricevuto, forse, per farti un dispetto, 

ho soltanto creato diletto;

ho giocato con una morale indulgente,

con il possibile che diviene presente.

 Mi sono dimostrata, sedotta, istigata: 

per giocare a questo gioco

non occorre una motivazione,

giocare ha di per sé valore,

tutto il resto è insensato pudore,

avanti! saggiamo l’elezione. 

 

Sento

in uno spasimo

un solco sospetto in putrefazione

un seme nuovo sboccia

nel mio giardino bagnato di limo

eccoti, girasole!

oscuro nel tuo cuore,

volgi allo splendore.

Perché il tuo messaggio

celi alla ragione?

Perché?

Perché fede lo raccolga,

quando si manifesta sotterraneo e penetrante,

ogni volta che la sua nudità assaggio?

 

Ecco mi appare una figura

solitaria nella strada,

mondana, lucciola, puttana

all’alba investita di rugiada.

Ha una gran fame,

cammina per i sentieri di uno sfarzoso reame,

intravede un albero di mele;

da lontano ognuna

è un invito per la sua pancia digiuna;

non è un sogno,

 ancora poche mosse 

davanti a quelle mele rosse

potrà soddisfare il suo bisogno.

La vedo nell’atto di un afferrare rapace

cieco, mastica vorace,

le mele bacate sputa 

nessuno la scruta, 

mangia senza trovar pace.

La pancia inizia a farle male,

sotto l’albero adesso si è seduta,

finché, sotto il sole, sonno l’assale.

Al risveglio non ha voglia di muoversi,

attende che il tempo passi, ora dopo ora

sotto quell’albero di campagna

divenuto la sua dimora.

 

Un giorno, al calar del sole

appetito, di nuovo, la prende;

le sue braccia tende 

per cogliere le mele più belle,

ne avverte l’odore

indaga il sapore.

Con la pancia leggera dorme, sogna

 

Passano le albe, passano i tramonti,

una notte i suoi piedi son pronti

per mettersi in viaggio

condurla tra i monti,

seguendo il coraggio;

dall’albero una mela si stacca

le finisce in tasca:

si sorprende, si sospende!

è curiosa, esita:

sarà bacata o sana?

la tira fuori dalla tasca con estrema cura;

dalla sua vista l’allontana, 

serra le palpebre, le spalanca, il cuore palpita:

appare così pura, quasi perfettamente matura!

lambisce la forma, 

nelle sue linee si perde,

una fogliolina verde 

eretta verso il cielo l’adorna,

in quell’aroma alla sua fonte ritorna

non è più dubbiosa

felice senza un perché

le dà un bacio

mangiarla non osa!

Senza averla ancora assaggiata sa

che quella mela è superiore,

ha più melità nel suo interiore.

La porta con sé.

 

Passano le albe, passano i tramonti,

lungo la via

la mela non perde il suo splendore

come per magia;

che possa guastarsi l’assale il timore:

la foglia si tinge di un verde più lucente;

                             se ne separa, ritorna presente:

divampa l’aroma più persistente,

persino da lontano

invade corpo e mente.

 

Passano le albe, passano i tramonti,

cresce il desiderio di assaggiare,

ma dalla sua mela non si vuol separare.

Adesso è perfettamente matura,

richiama la sua bocca, 

così vuole natura.

Non ha più senso aspettare,

è il momento di mangiare!

piccolo morso dolce dolore

la mela è integra

sommo stupore!

Davanti a quel miracolo 

si placa il suo appetito,

lo sfiora con un dito,

deve ancora arrivare

il momento in cui la mela

potrà divorare.

 

Cara innocenza, bentornata! 

nel mio letto caldo di sonno;

mugolo, mi aggomitolo, cerco la finestra,

stanotte l’ho lasciata aperta,

gli occhi ancora chiusi

assaggiano la luce del giorno;

mi stiro, emetto suoni senza senso,

sospiro d’impalpabile denso,

rotolo fino al pavimento

ecco traspare orientamento

camminare sul rischioso filo dell’ambiguità,

questo è il tuo insegnamento,

prendendo per mano il genio della libertà

nel respiro del vento

verso calore di clarità

Caro amore,

stamani   mi   ha  svegliata  la  pioggia  e  per  empatia  i miei occhi hanno stillato lacrime;  la  pioggia  scende,  penetra  nella  terra  che  l’accoglie, raggiunge altra acqua,   arresta il fuoco, ristora le piante, si lascia trasportare, a volte, dal vento e poi  birichina  solletica  ciò  che  resta  ermetico:  così ho aperto le persiane, sono uscita sul terrazzo,  perché le mie lacrime fuggissero tra le fughe della terracotta, rossa;  la nebbia   adesso   ricopre  le   vette dei monti,  vaga  rarefatta a mostrare cipressi che compongono gotiche architetture: vogliono  raggiungere il cielo, ma per quanto in altezza possano svettare,  non è natura del cielo farsi toccare,  può solo esortare. Ho provato a liberare questo suono: amore; per sentire:  quali zone di me fa vibrare?  Ma se é solo una decisione mentale, a quale gioco potrà mai giocare? Quale musica  ascoltare? Allora nel panico si mette a strepitare: ehiii!! ehiii! Tutti voi! Voglio giocare!    Accorrono  pedoni  che  niente hanno da fare;  la voce allora si mette a imporre ordini:  tu sei la guardia,  tu vai a nasconderti là, tu sei il ladro,   tu dài un bacio a chi vuoi tu,  tu buttati in Terra,  tu vai a cercare altri disposti a giocare,  tu resta  in un angolo con gli occhi chiusi: aspetta, conta! Gli altri  giocatori  oscillano  tra  curiosità,   rabbia,   dedizione e frustrazione,  finché abbandonano il padrone. Ognuno è più solo di prima! Adesso una figura  avanza  con passi  lenti sulla  strada  bagnata.  

Un mantello di lana scura,   con  eleganza,   lo avvolge.   Questo mantello, che  molta  acqua  ha assorbito,  Ã¨ diventato pesante come un‘armatura.  La figura arresta il suo passo, vuole liberarsi del mantello,  se ne libera.  Adesso è immobile, allarga le braccia ed urla: Venite! Sono libero! Sono pronto a donarmi! Sono pronto a liberarvi! Venite e in me conoscerete passione, fuoco, amore;  ma che buffa che è questa figura! quanta tenerezza!   Un corpo forte,   imponente,   nudo e secolare,    ma sulla sua testa  Ã¨  rimasto un cappello,   con le sue  larghe falde lo protegge dalla pioggia; sopra il suo cuore pende un amuleto  di ferro,  sigillato,  non se n’è liberato, forse del suo peso si è dimenticato;  Ã¨ in attesa:  che  qualcuno  prenda  in  mano  quel pendaglio?  Che magari  lo avvicini  alla   bocca,   per  soffiarvi  dentro    un tepore leggero?   Spera forse   che qualcuno  trovi l’accordo  maggiore che dischiuderà il sigillo?  Fino a gettarlo in fondo al mare,  libero di andare dove gli pare di arrivare? Senza sapere? Come può essere pronto a donare se ancora non è padrone di quel che c’è nel suo cuore?

Sotto  il   porticato del vicino  un’altra figura  giace in un angolo. Un velo bianco, leggero,  la fascia,  come un bimbo  in attesa  di nascere.   Se ne sta in silenzio a respirare,  e   dal respiro   una voce   sembra   oltre il suo corpo volare : c’è troppo candore   in me   per mettermi,  con voi, a giocare; lasciatemi stare perché così mi pare. Ma che buffa che è questa figura! quanta tenerezza!   Ogni tanto dischiude gli occhi,   fuori  da sé   guardare:   ha paura o forse  spera  che qualcuno si voglia avvicinare? insieme a lei suonare? sogna forse braccia che fino al cielo la riescano a  sollevare?  Ha paura,  o forse spera che   il suo velo bianco    di rosso sangue si possa macchiare? Come può rinunciare al mondo se ancora, da sola, non si sa amare?

Caro amore, voglio amare del tutto, o non invocarti affatto! 

Cara delusione,

stanotte resto inerme, senza un’intenzione.

Me ne sto a guardare il cielo dal balcone,

ma poiché tu sei qui con me,

non c’è colore o una variazione

né una tazza di thé.

La volta celeste è ricoperta di smalto pesante,

opaco, opprimente;

così ha deciso l’artigiano del cosmo:

voleva star lontano dal brusio,

solo in compagnia del suo dio.

Finito il lavoro ha messo via barattoli e pennelli,

e mi ha voltato le spalle;

è rimasto sdraiato di schiena,

a godersi l’atmosfera silente, serena,

con del buon vino e un gelato all’amarena.

Su una scala di corde è salito:

dondola dondola, su e giù, giù e su...

che bella l’altalena, che bello andare su,

anelare, lo sguardo in alto, colmo di stupore,

che bella vertigine il momento che

precede

l’andar giù, cadere, sprofondare,

un po’ morire, lo sguardo in basso, colmo di

terro oh oh oh re...

che inganno! che smacco!

tutto quello smalto!

l’artigiano si è accorto di aver ricoperto l’abisso,

non c’è profondità,

non c’è lo stesso gusto a guardare giù.

Dalla sua altalena

adesso

prova una gran pena.

Allora si da un grande slancio,

eccolo che  tonfa,

un po’ di smalto si scrosta,

del vino bianco si rovescia,

versa infine una lacrima ridente:

io dal balcone vedo una stella cadente!

L’artigiano s’inginocchia umilmente,

con scalpelli e martelli

dello smalto ne fa brandelli;

lievemente sussurra segreti

che noi umani non osiamo pronunciare,

intona un canto d’amore colmo di fede e paura,

un canto che avvelena, insieme cura,

ci dona frasi eterne, bellezza, ebbrezza

di pazzia 

che noi umani non possiamo proclamare,

tuttavia possiamo sognare. 

 

Cara delusione, mi son lasciata andare,

ho chiuso gli occhi,

si è affacciata la mia intima passione:

l’orecchio vagante, in ascolto,

cullato da parole senza corpo;

la bocca dischiusa ospita un sentore d’uva;

la mente schietta persuasa di letizia;

un sogno che io sognai per lui,

lui sognò per me:

desiderio parla, senza peso e forma.

L’artigiano del cosmo accarezza il mio volto,

il tocco dell’Olimpo...

non è da cercarsi in alto, né in basso,

a destra o a sinistra;

non fu, né sarà,

sempre e solo é eterna variazione.

 

Cara delusione, così mi esorti:

non c’é separazione!

SE VUOI LEGGERE DI PIU'

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