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Irene De MAtteis
La cornice narrativa espone la storia di un vagabondaggio. Anna è un'adolescente inquieta come tanti adolescenti; all'avvicinarsi della Pasqua avverte un moto di rivoluzione/resurrezione; deciderà così di mettersi in cammino senza una meta ben precisa, senza una fissa dimora; avrà l'occasione d'incontrare spiriti affini, "viaggiatori" che la ospiteranno per periodi più o meno lunghi nelle proprie dimore. Anna riprende sempre il proprio viaggio in segreto, ma prima di dissolversi lascerà nel ripostiglio dei padroni di casa, dentro oggetti/simbolo, una traccia; un monito che li esorti a vivere le proprie esistenze esorcizzando i timori che in loro ha percepito.
I seguenti componimenti sono estratti dal ripostiglio.
LETTERE DAL RIPOSTIGLIO
Cara innocenza,
sfuggi tra le mani come un palloncino
che abbandona la presa di un bambino;
un fiore di vetro cade dal balcone,
si frantuma, urgente rumore.
Ti ho cercata dentro un letto,
ti ho fatta a pezzi,
per fondermi nella tua essenza,
rinunciando al mio desiderio perfetto
disponibile d’incoscienza;
ho ricevuto, forse, per farti un dispetto,
ho soltanto creato diletto;
ho giocato con una morale indulgente,
con il possibile che diviene presente.
Mi sono dimostrata, sedotta, istigata:
per giocare a questo gioco
non occorre una motivazione,
giocare ha di per sé valore,
tutto il resto è insensato pudore,
avanti! saggiamo l’elezione.
Sento
in uno spasimo
un solco sospetto in putrefazione
un seme nuovo sboccia
nel mio giardino bagnato di limo
eccoti, girasole!
oscuro nel tuo cuore,
volgi allo splendore.
Perché il tuo messaggio
celi alla ragione?
Perché?
Perché fede lo raccolga,
quando si manifesta sotterraneo e penetrante,
ogni volta che la sua nudità assaggio?
Ecco mi appare una figura
solitaria nella strada,
mondana, lucciola, puttana
all’alba investita di rugiada.
Ha una gran fame,
cammina per i sentieri di uno sfarzoso reame,
intravede un albero di mele;
da lontano ognuna
è un invito per la sua pancia digiuna;
non è un sogno,
ancora poche mosse
davanti a quelle mele rosse
potrà soddisfare il suo bisogno.
La vedo nell’atto di un afferrare rapace
cieco, mastica vorace,
le mele bacate sputa
nessuno la scruta,
mangia senza trovar pace.
La pancia inizia a farle male,
sotto l’albero adesso si è seduta,
finché, sotto il sole, sonno l’assale.
Al risveglio non ha voglia di muoversi,
attende che il tempo passi, ora dopo ora
sotto quell’albero di campagna
divenuto la sua dimora.
Un giorno, al calar del sole
appetito, di nuovo, la prende;
le sue braccia tende
per cogliere le mele più belle,
ne avverte l’odore
indaga il sapore.
Con la pancia leggera dorme, sogna
Passano le albe, passano i tramonti,
una notte i suoi piedi son pronti
per mettersi in viaggio
condurla tra i monti,
seguendo il coraggio;
dall’albero una mela si stacca
le finisce in tasca:
si sorprende, si sospende!
è curiosa, esita:
sarà bacata o sana?
la tira fuori dalla tasca con estrema cura;
dalla sua vista l’allontana,
serra le palpebre, le spalanca, il cuore palpita:
appare così pura, quasi perfettamente matura!
lambisce la forma,
nelle sue linee si perde,
una fogliolina verde
eretta verso il cielo l’adorna,
in quell’aroma alla sua fonte ritorna
non è più dubbiosa
felice senza un perché
le dà un bacio
mangiarla non osa!
Senza averla ancora assaggiata sa
che quella mela è superiore,
ha più melità nel suo interiore.
La porta con sé.
Passano le albe, passano i tramonti,
lungo la via
la mela non perde il suo splendore
come per magia;
che possa guastarsi l’assale il timore:
la foglia si tinge di un verde più lucente;
se ne separa, ritorna presente:
divampa l’aroma più persistente,
persino da lontano
invade corpo e mente.
Passano le albe, passano i tramonti,
cresce il desiderio di assaggiare,
ma dalla sua mela non si vuol separare.
Adesso è perfettamente matura,
richiama la sua bocca,
così vuole natura.
Non ha più senso aspettare,
è il momento di mangiare!
piccolo morso dolce dolore
la mela è integra
sommo stupore!
Davanti a quel miracolo
si placa il suo appetito,
lo sfiora con un dito,
deve ancora arrivare
il momento in cui la mela
potrà divorare.
Cara innocenza, bentornata!
nel mio letto caldo di sonno;
mugolo, mi aggomitolo, cerco la finestra,
stanotte l’ho lasciata aperta,
gli occhi ancora chiusi
assaggiano la luce del giorno;
mi stiro, emetto suoni senza senso,
sospiro d’impalpabile denso,
rotolo fino al pavimento
ecco traspare orientamento
camminare sul rischioso filo dell’ambiguità ,
questo è il tuo insegnamento,
prendendo per mano il genio della libertÃ
nel respiro del vento
verso calore di claritÃ
Caro amore,
stamani mi ha svegliata la pioggia e per empatia i miei occhi hanno stillato lacrime; la pioggia scende, penetra nella terra che l’accoglie, raggiunge altra acqua, arresta il fuoco, ristora le piante, si lascia trasportare, a volte, dal vento e poi birichina solletica ciò che resta ermetico: così ho aperto le persiane, sono uscita sul terrazzo, perché le mie lacrime fuggissero tra le fughe della terracotta, rossa; la nebbia adesso ricopre le vette dei monti, vaga rarefatta a mostrare cipressi che compongono gotiche architetture: vogliono raggiungere il cielo, ma per quanto in altezza possano svettare, non è natura del cielo farsi toccare, può solo esortare. Ho provato a liberare questo suono: amore; per sentire: quali zone di me fa vibrare? Ma se é solo una decisione mentale, a quale gioco potrà mai giocare? Quale musica ascoltare? Allora nel panico si mette a strepitare: ehiii!! ehiii! Tutti voi! Voglio giocare! Accorrono pedoni che niente hanno da fare; la voce allora si mette a imporre ordini: tu sei la guardia, tu vai a nasconderti là , tu sei il ladro, tu dà i un bacio a chi vuoi tu, tu buttati in Terra, tu vai a cercare altri disposti a giocare, tu resta in un angolo con gli occhi chiusi: aspetta, conta! Gli altri giocatori oscillano tra curiosità , rabbia, dedizione e frustrazione, finché abbandonano il padrone. Ognuno è più solo di prima! Adesso una figura avanza con passi lenti sulla strada bagnata.
Un mantello di lana scura, con eleganza, lo avvolge. Questo mantello, che molta acqua ha assorbito, è diventato pesante come un‘armatura. La figura arresta il suo passo, vuole liberarsi del mantello, se ne libera. Adesso è immobile, allarga le braccia ed urla: Venite! Sono libero! Sono pronto a donarmi! Sono pronto a liberarvi! Venite e in me conoscerete passione, fuoco, amore; ma che buffa che è questa figura! quanta tenerezza! Un corpo forte, imponente, nudo e secolare, ma sulla sua testa è rimasto un cappello, con le sue larghe falde lo protegge dalla pioggia; sopra il suo cuore pende un amuleto di ferro, sigillato, non se n’è liberato, forse del suo peso si è dimenticato; è in attesa: che qualcuno prenda in mano quel pendaglio? Che magari lo avvicini alla bocca, per soffiarvi dentro un tepore leggero? Spera forse che qualcuno trovi l’accordo maggiore che dischiuderà il sigillo? Fino a gettarlo in fondo al mare, libero di andare dove gli pare di arrivare? Senza sapere? Come può essere pronto a donare se ancora non è padrone di quel che c’è nel suo cuore?
Sotto il porticato del vicino un’altra figura giace in un angolo. Un velo bianco, leggero, la fascia, come un bimbo in attesa di nascere. Se ne sta in silenzio a respirare, e dal respiro una voce sembra oltre il suo corpo volare : c’è troppo candore in me per mettermi, con voi, a giocare; lasciatemi stare perché così mi pare. Ma che buffa che è questa figura! quanta tenerezza! Ogni tanto dischiude gli occhi, fuori da sé guardare: ha paura o forse spera che qualcuno si voglia avvicinare? insieme a lei suonare? sogna forse braccia che fino al cielo la riescano a sollevare? Ha paura, o forse spera che il suo velo bianco di rosso sangue si possa macchiare? Come può rinunciare al mondo se ancora, da sola, non si sa amare?
Caro amore, voglio amare del tutto, o non invocarti affatto!
Cara delusione,
stanotte resto inerme, senza un’intenzione.
Me ne sto a guardare il cielo dal balcone,
ma poiché tu sei qui con me,
non c’è colore o una variazione
né una tazza di thé.
La volta celeste è ricoperta di smalto pesante,
opaco, opprimente;
così ha deciso l’artigiano del cosmo:
voleva star lontano dal brusio,
solo in compagnia del suo dio.
Finito il lavoro ha messo via barattoli e pennelli,
e mi ha voltato le spalle;
è rimasto sdraiato di schiena,
a godersi l’atmosfera silente, serena,
con del buon vino e un gelato all’amarena.
Su una scala di corde è salito:
dondola dondola, su e giù, giù e su...
che bella l’altalena, che bello andare su,
anelare, lo sguardo in alto, colmo di stupore,
che bella vertigine il momento che
precede
l’andar giù, cadere, sprofondare,
un po’ morire, lo sguardo in basso, colmo di
terro oh oh oh re...
che inganno! che smacco!
tutto quello smalto!
l’artigiano si è accorto di aver ricoperto l’abisso,
non c’è profondità ,
non c’è lo stesso gusto a guardare giù.
Dalla sua altalena
adesso
prova una gran pena.
Allora si da un grande slancio,
eccolo che tonfa,
un po’ di smalto si scrosta,
del vino bianco si rovescia,
versa infine una lacrima ridente:
io dal balcone vedo una stella cadente!
L’artigiano s’inginocchia umilmente,
con scalpelli e martelli
dello smalto ne fa brandelli;
lievemente sussurra segreti
che noi umani non osiamo pronunciare,
intona un canto d’amore colmo di fede e paura,
un canto che avvelena, insieme cura,
ci dona frasi eterne, bellezza, ebbrezza
di pazzia
che noi umani non possiamo proclamare,
tuttavia possiamo sognare.
Cara delusione, mi son lasciata andare,
ho chiuso gli occhi,
si è affacciata la mia intima passione:
l’orecchio vagante, in ascolto,
cullato da parole senza corpo;
la bocca dischiusa ospita un sentore d’uva;
la mente schietta persuasa di letizia;
un sogno che io sognai per lui,
lui sognò per me:
desiderio parla, senza peso e forma.
L’artigiano del cosmo accarezza il mio volto,
il tocco dell’Olimpo...
non è da cercarsi in alto, né in basso,
a destra o a sinistra;
non fu, né sarà ,
sempre e solo é eterna variazione.
Cara delusione, così mi esorti:
non c’é separazione!
SE VUOI LEGGERE DI PIU'
Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis v v Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis v v Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis v v Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis v v Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis v v Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene De Matteis Irene
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